“Dov’eri domenica sera?”
La voce di Anna, al telefono, era tirata, talmente nervosa da uscire stridula. L’aveva accolto così, dopo averlo chiamato. Giorgio era rimasto interdetto. Iniziò a lisciarsi la barba, come quando rifletteva su problemi o impegni impellenti.
“Che intendi, Anna?”
Non poteva risponderle la verità, per almeno due motivi, che aveva dormito a casa di una donna, e soprattutto quella donna non era Anna. Fermi tutti, però. Anna non era neanche la sua, di donna. Era un’amica. Ma neanche, dai, era una del suo paese, nelle Marche, la vedeva si e no due volte l’anno, quando tornava a casa per le feste. Giusto un saluto tra i vicoli quando s’incrociavano. Piccola, minuta e insignificante.
“Scusami, non ti ho neanche salutato.” “Eh, no…non l’hai fatto.”
In effetti era assurdo che Anna avesse il suo numero di cellulare. Chissà chi glielo aveva dato…forse era stato proprio Giorgio, prima di andare a Roma a studiare all’Università, quando frequentavano entrambi la stessa comitiva. Non aveva mai cambiato scheda e operatore, e lei non doveva averlo cancellato dalla rubrica. Anna, invece, era stata tra le prime epurate da Giorgio…
Bisbigli maschili coprirono il silenzio imbarazzato di lei. Anna aveva allontanato il cellulare, forse coprendo anche il microfono con la mano, ma Giorgio riuscì a intercettare un “mi stai facendo fare una figura terribile!” rivolto a qualcuno che deve essere lì con lei.
“Tutto a posto, Anna?” “Sì, scusa ancora…puoi soltanto confermarmi che ieri sera non ti trovavi in zona Termini?”
Giorgio intuì che non poteva essere sincero. Non poteva rispondere che domenica era stato proprio in zona Termini, più precisamente a Piazza Vittorio.
“No, ovviamente…ma perché è così importante?” “Lo è, purtroppo.”
Subito dopo Anna chiuse la conversazione, lasciando Giorgio esterrefatto, in piedi nel mezzo del salotto. Aveva lezione alle tre, doveva sbrigarsi. Uscì di casa e prese l’ascensore. Abitava al dodicesimo piano di uno dei palazzoni che si affacciavano su Viale Marconi, tanto grigi e uguali tra di loro quanto riccamente quotati dal mercato immobiliare. Ovviamente era in affitto, non aveva né soldi né un impiego solido per poter avvicinare degli appartamenti del genere. Aveva unito le forze con un altro collega del Dipartimento, e si dividevano questo comodo quadrilocale.
Inforcò la bici dopo avere aperto la catena che la teneva legata al palo del divieto di sosta. L’Università era piuttosto vicina, aveva scelto tutto con attenzione, raggiungere via Ostiense, all’altezza della Basilica di San Paolo, era proprio uno scherzo. Matteo, il suo coinquilino, lo attendeva nel suo ufficio.
“Hai tempo per un caffè?”
“Sì, ma due minuti contati. Devo tenere la lezione al posto del prof, lo sai.”
“Volevo soltanto chiederti se dopo il lavoro ti andava un aperitivo al Centro. Offro io, sia chiaro.”
Giorgio sorrise. “Ci stai provando con me?”
“Figurati. In realtà volevo presentarti una persona con cui mi sto frequentando da qualche tempo.”
“Ah! Ne sono felice. Sul serio.” Giorgio sapeva bene di tutti i travagli che Matteo aveva vissuto durante la separazione.
“Quindi mi accompagni?” “Volentieri.”
La lezione fu stancante, d’altronde il professore gli lasciava sempre le esercitazioni propedeutiche per gli esami, quelle dove gli studenti erano attentissimi e pieni di domande. Verso le sei e mezza, si precipitò alla fermata metro di Garbatella. Matteo era già lì che ciondolava mirando il nuovo ponte di Calatrava che dominava i binari collegando la Circonvallazione con gli ex Mercati Generali.
(La foto è di Francesca Minonne)
Dopo cinque minuti di attesa, salirono su uno dei vagoni centrali del metrò, passando accanto ad un nomade che suonava la fisarmonica appoggiato ad uno dei sostegni. Parlarono del più e del meno, essenzialmente di cose dell’Università, e poi scesero a Termini.
“Come mai qui? Non mi avevi detto che andavamo al Centro?”
“Sì, ma lei arriva col treno. Non abita a Roma.”
“Ah, no? E dove vive?”
“Viene dalla provincia di Macerata. Dal tuo paese.”
Erano arrivati al piazzale della stazione, dove i negozi lasciano lo spazio alle banchine d’attesa dei binari. I barboni dormivano coricati su un fianco, dando le spalle alla folla che correva frenetica. Giorgio era rimasto in silenzio, Matteo non riusciva neppure a guardarlo.
“Come mai non mi hai detto nulla? Chi è?”
Poi ricordò la telefonata e disse: “Anna.”
“Sì, è Anna.”
“Ma come l’hai conosciuta??”
“Su Facebook…ho visto che metteva sempre i “Like” sui tuoi status, che commentava…e l’ho contattata via chat.”
“Pazzesco…ecco perché! A mia insaputa!” Giorgio fece uno scatto col collo, guardando verso l’alto. Matteo lo fissava, finalmente.
“Cosa? Ma a te dispiace? Mi ha detto che non c’è mai stato nulla tra di voi. Pensavo potesse essere una notizia sorprendente, non imbarazzante.”
“Ti ha detto di essere single?”
“Non ne abbiamo mai parlato.”
“Ecco, secondo me dovreste.” Giorgio raccontò al coinquilino la telefonata.
“Quindi ora il suo compagno, o quello che è, pensa che Anna si veda con te.” “Mi pare ovvio, avrà visto anche lui i Like. L’unico che non ci aveva mai fatto caso ero io, pensa un po…”
“Beh, ma dobbiamo chiarire, no?”
“Cosa? Cosa? L’unico con cui dobbiamo chiarire è quello che ci vuole spaccare la faccia. Anzi, quello che vuole spaccare la faccia A ME, per delle colpe che hai TE!”
Seguì una breve ma accesa discussione che portò ad un nulla di fatto. Giorgio però s’impuntò: non aveva alcuna voglia di vedere Anna. Prese la Metro e tornò a casa. Via Silvestro Gherardi era buia, non illuminata quanto quella sequela indefinita di locali commerciali che definiva l’intero quartiere. Svolgeva diligentemente il suo ruolo di traversa secondaria, ma era comunque incasinata a livello di rumore, smog e problemi di parcheggio. Giorgio aveva deciso di evitare tutti quei problemi muovendosi soltanto con la bici o con i mezzi pubblici. Faceva un po parte del suo carattere, evitare. Le discussioni, i problemi, i confronti.
Rientrato in casa, si sedette sul divano per rilassarsi. Fu un momento che durò poco, interrotto dal trillare del video-citofono. Andando a rispondere, si trovò di fronte un viso sconosciuto, tozzo e squadrato, che ben si adattava ad una corporatura robusta che superava il metro e novanta. La parlata, poi, non tradiva le origini, ben note a Giorgio.
“Sono il marito di Anna. Apri che ti devo parlare.”
“Come, scusi? Ci conosciamo?”
“Certo che sì. Ti porti a letto mia moglie! Più apparentati di così. Non far finta di nulla! Io resto qui finché non esci!”
Era furioso, senza dubbio. Giorgio agganciò la cornetta e iniziò a percorrere nervosamente il corridoio. Cosa fare? Prima o poi qualche inquilino sarebbe rientrato, e quell’energumeno si sarebbe piantato davanti alla porta d’ingresso del loro appartamento. E non ci sarebbe più stata via di uscita.
Per una volta, Giorgio benedì il garage condominiale. Si trovava due piani sotto al livello della strada, ed era raggiungibile tramite ascensore. Pur non avendo l’automobile, possedeva la chiave del cancello, che si affacciava sul lato opposto del palazzo rispetto al portone. Giorgio si confuse tra la folla che si accalcava tra le luci dello shopping, mentre l’ora di cena era vicina.
Provava qualche senso di colpa nei confronti di Matteo. Presto o tardi sarebbe rincasato, forse in compagnia di Anna, visto che ormai anche il suo coinquilino sapeva. Forse lo doveva avvertire. Un gesto di amicizia e complicità che gli sarebbe tornato utile, il giorno in cui gli avrebbe rivelato che frequentava la sua ex-moglie. A sua insaputa.