Trovare parcheggio su via della Pisana è un’impresa, un colpo di fortuna. Il tratto urbano, quello che va da via di Bravetta fino al Ponte Pisano, quello che si frappone tra gli avvallamenti della Portuense e dell’Aurelia, quello che funge da sfogo di mille vicoli e villini ex-abusivi che vi si affacciano, è un vero calvario per chi ci abita e non ha la fortuna di avere un posto-auto condominiale.
Tutte le sere Giovanni rientra da lavoro e se ne lamenta. Mezzora per trovare un posto, dieci minuti di camminata per arrivare a casa. Le gambe le ha già affaticate, lui che di mestiere fa il vigile urbano e si divide tra le pedane da governatore del traffico nel Centro storico e lunghe passeggiate a far multe alle auto in doppia fila su via di Boccea, le vetture degli eterni affaccendati scesi un attimo per comprare una cosa.
Tutte le sere Giovanni passa davanti a quella serranda, il garage a pochi metri dal portone di casa. Si ferma un attimo, e sospira della rassegnazione di chi aveva la soluzione a portata di mano. Sarebbero bastati cento euro in più, quando c’era stata l’opportunità. Peccato non averne, tra la quota del mutuo, i soldi per mandare il bambino in piscina e Laura che ha ripreso a lavorare solo saltuariamente. Laura ha un dottorato, ma ora fa le pulizie a ore, è uscita dal giro dell’Università. Quando stai per partorire, è difficile andare tutti i giorni al Dipartimento a occupare la scrivania. Te la portano via, assieme alle firme sugli articoli e ai rimborsi in nero che il professore ti fa avere di straforo, quando i committenti pagano.
Loro tre vivono quasi totalmente sullo stipendio di Giovanni, che è cresciuto poco o niente nei quindici anni passati dal concorso. Non ha fatto carriera, non è nel suo carattere prostrarsi alla ricerca di promozioni, ed è ancora lì a incastrare contravvenzioni sotto i tergicristalli delle auto. Ogni tanto Giovanni viene assegnato proprio alla Pisana, ed eccolo che si aggira in auto con un collega alla ricerca di qualche effrazione da sanzionare, con la speranza che non riguardi qualche conoscente, perché poi a casa dobbiamo tornarci tutti e i rapporti di buon vicinato ce li teniamo belli stretti.
Quando fa il turno, Giovanni passa davanti al garage e lo trova immancabilmente aperto. Davanti c’è un cartonato triangolare poggiato ai piedi della piccola duna che fonde la strada all’interno del locale, tutto piastrellato di bianco. C’è un auto dentro, insaponata. Ci sono due o tre uomini, non riesce a vedere bene, e sono indaffarati con i tappetini e il cruscotto. Tra di loro riconosce anche Ahmed, il titolare di quell’autolavaggio economico. Ahmed avrà la sua età, è leggermente brizzolato, con lo sguardo ruvido e orgoglioso di chi sa di fare un buon lavoro. Ha sempre clienti, Ahmed, perché con dieci euro lava le auto a mano, interno ed esterno. Ahmed è quello che ha offerto cento euro in più per l’affitto di quel garage.
- Hai visto quel cartello? – Il suo collega Claudio lo riporta nella realtà. Sta indicando il Passo Carrabile che è appeso accanto alla serranda. E’ privo del numero di autorizzazione emesso dal Comune.
- Sì. Falso come una banconota da tre euro.
Ahmed li accoglie sorridente, come se la visione della divisa limasse le sue spigolature caratteriali. Fiuta a distanza l’odore della rogna, anche se il viso di Giovanni gli appare famigliare.
- Buongiorno, signori. Come posso esservi utile?
- Buongiorno. Che ci fa quel cartello di Passo Carrabile appeso qui fuori?
- Eh, l’ho messo da qualche settimana. Mi parcheggiavano davanti alla serranda e non riuscivo neanche ad aprire l’autolavaggio! Questo è il mio lavoro, capite?
- Lei non può affiggere un cartello senza autorizzazione, lo sa?
- Certo, certo! Infatti ho già chiesto tutto! Ho pagato il tecnico per fare i documenti, le planimetrie. Sto telefonando tutti i giorni all’ufficio comunale per sapere quand’è pronta. – Ahmed parla bene l’italiano, l’accento marocchino è sopito dalla lunga permanenza nel suolo italico.
- Guardi, lei può dire quello che le pare, ma finché non ha un’autorizzazione quel cartello deve sparire.
Claudio ha preso l’iniziativa, Giovanni lo lascia fare. In fondo è stato lui a notare il cartello, ed è nella parte della ragione. Non vuole però entrare troppo nel merito. Anche se non è così, gli sembra di compiere una sottile vendetta nei confronti di chi gli ha scippato quel garage. E lui non è uomo da vendette.
- Signori, vi chiedo di chiudere un occhio…ne va della mia attività!
- Preferisce pagare cinquecento di multa? – Ahmed si gira verso i suoi uomini che stanno finendo di asciugare, a colpi di panni di daino, il SUV di un signore che osserva compiaciuto. Sembra più triste che arrabbiato.
- No, no…
Nei giorni successivi Giovanni lavora dalle parti del Nuovo Salario, e torna sempre tardi a casa. Continua a non trovare parcheggio, ma nota che ora anche davanti alla serranda di Ahmed un’utilitaria staziona costante. Il cartello del Passo Carrabile è effettivamente sparito.
Possibile che un uomo apparentemente orgoglioso si sia arreso così? Proprio lui che non aveva esitato a rilanciare sul canone, non appena aveva saputo che c’era qualcun’altro interessato al garage?
- Hai notato se oggi l’autolavaggio era aperto? – Laura lo guarda con quell’espressione colma di disincanto che non è cambiata, ora che è una quarantenne un po’ sfiorita e con i sogni alle spalle.
- Sì, era aperto. Lavorano sempre quelli, chiudono poco prima del tuo rientro.
- Stasera ho visto un’auto parcheggiata davanti alla serranda.
- Era una Punto blu?
- Sì, perché?
- E’ loro. Credo la parcheggino davanti per impedire che qualcun’altro ostruisca la serranda. L’altro giorno la moglie era al minimarket del bengalese e si stava lamentando della polizia municipale. Certo che alcuni tuoi colleghi sono proprio stronzi, lasciatelo dire…
- Premesso che in generale posso essere d’accordo con te, perché dici questo?
- Quelli stanno cercando di lavorare, e invece di fare le multe a chi parcheggia sulle strisce pedonali, i tuoi colleghi vanno a rompere le scatole su delle pignolerie.
- Mah…evidentemente non erano delle “pignolerie”, come le chiami tu.
O forse sì. Giovanni rinuncia ad argomentare, sa quel che Laura pensa del suo lavoro, nonostante sia ancora la loro principale, quasi unica, fonte di reddito. E’ conscio del messaggio subliminale di quella discussione, che è sempre lo stesso. Lei gli rimprovera di essersi accontentato, aveva una laurea in Economia e Commercio e l’ha usata solo per ottenere più punti in graduatoria. Non l’ha fatta fruttare.
Dopo cena, Giovanni si sdraia sul letto, guarda un programma sul digitale terrestre, una di quelle repliche che danno sempre, perché legate a nessun contesto. Gente che cerca casa con budget enormi, attici al Centro Storico. Hanno tutti il garage, più di uno, anzi.
Laura è un’idealista, sarebbe facile rimproverarle di non aver raccolto nulla dalla sua carriera accademica, di non essersi tutelata, di non aver chiesto favori. Sarebbe facile, e molto crudele. Giovanni non è crudele, preferisce lasciar correre le cose, come la sua vita. Vada come vada. Se fosse crudele potrebbe farsi un giretto all’Ufficio Passi Carrabili, cercare la pratica di Ahmed e farla insabbiare da qualche impiegato conoscente e compiacente. Poi potrebbe mettere di nuovo la pulce all’orecchio di Claudio, fare un altro giro di controllo, trovare qualcos’altro di irregolare. Di sicuro c’è, questi immigrati non fanno mai tutto in regola, chissà se quei lavoranti sono dichiarati, se quell’affissione è registrata. Potrebbero pure farlo chiudere, chissà. E senza i soldi dell’autolavaggio Ahmed sarebbe costretto a disdire l’affitto del garage.
Giovanni sonnecchia fino a quando decide di spegnere la TV. Laura ha messo a letto il bambino e sistemato la cucina, e lo raggiunge in camera. Cadono presto in un sonno senza sogni. Domani è un altro giorno, domani Giovanni dovrà trovare di nuovo parcheggio. Vada come vada.