La Roma di Fuori è un non-luogo. Non esiste nelle mappe, non esiste nelle istituzioni. E’ una cintura irregolare che circonda la Capitale, oltre il Grande Raccordo Anulare, ai confini con i comuni limitrofi: ne fa parte, ma solo sulla carta, a volte neanche quella. Le chiamano “nuove periferie” e sembrano tutte uguali: un centro commerciale e tanti servizi promessi, mai mantenuti. Sono quartieri-dormitorio, meta dei trentenni single o delle giovani coppie che a Roma non possono permettersi di comprare in zone centrali. In questa serie di reportage le visiteremo una ad una.
Puntate precedenti
Non volevo scrivere di Ponte di Nona. Volevo evitarlo, come fanno gli snob quando un tema a loro caro diventa piuttosto popolare e per loro non ha più senso portarlo in giro, renderlo fulcro del loro repertorio. Se ne parlano tutti, io non ne parlo più. Non posso far finta di non sapere che Ponte di Nona è l’Esempio, didascalico, osceno e quasi pornografico, della Roma di Fuori. Tuttavia, proprio perché paradigma delle nuove periferie romane, è stata assai raccontata, in modo a volte distorto, e in questa serie di articoli mi ero prefigurato di far emergere realtà meno note.
Non è facile parlare di Ponte di Nona. C’è troppo pregresso, a cominciare da quella famosa puntata di Report del 2008, intitolata I re di Roma, che forse per la prima volta portava a galla le magagne del “flessibile” piano regolatore capitolino, e delle discutibili convergenze d’interessi tra Comune e costruttori. Ci sono stati un bel po’ di fatti di cronaca e degrado, quelli su cui il pregiudizio fa presa e non la lascia più. Da tempo Ponte di Nona è accomunata, non solo per il numero di Municipio, alle “Torri” (Tor Bella Monaca, Torre Angela…), le periferie difficili di Roma Est.
Eppure, qualche giorno fa, ho letto alcune notizie che infondevano speranza. A Ponte di Nona hanno inaugurato una stazione ferroviaria che collega la stazione Tiburtina in 23 minuti e, più sporadicamente, persino la Stazione Termini. Hanno inoltre istituito una linea di autobus, la 055, che collega il quartiere alla Metro C. Qualcuno deve essersi reso conto che questo agglomerato urbano strappato alla campagna romana c’è, che non è stato solo un grosso errore e che anche se lo fosse stato, non va dimenticato come se non esistesse.
Decido dunque di andare a Ponte di Nona. Ovvero, di tornare. Perché Ponte di Nona l’ho visto nascere, nella prima metà degli Anni Zero. Ovviamente mi riferisco a quella che viene definita “Nuova Ponte di Nona”, per differenziarla dagli edifici popolari del Villaggio Falcone, multicolorati e spontanei come solo una certa edilizia abusiva di fine Novecento. Al contrario di altri esempi della Roma di Fuori, a Ponte di Nona c’è stato anche un “prima”, seppur riservato agli emarginati della società.
La mia frequentazione con Ponte di Nona è iniziata una decina d’anni fa. All’epoca il progetto era ancora agli inizi, io non vivevo qui, ma ci venivo tutti i giorni per lavorare. L’ufficio dove stavo non era un vero ufficio, ovvero era accatastato come abitazione, perché a Ponte di Nona non esistono centri direzionali, ci sono solo la zona residenziale e quella commerciale. Come è sempre avvenuto per la Roma di Fuori, i costruttori hanno lucrato sino all’ultimo per aumentare il valore catastale dei propri immobili, svuotando di significato il quartiere, annullandone ogni potenzialità in un eventuale decentramento delle attività cittadine.
La palazzina era gialla tonalità della sabbia, con i balconi lunghi che giravano attorno al palazzo. Lo stile era lo stesso di quelle di Malafede, non a caso. Si trattava del primo nucleo consegnato, quello storico che confluiva su viale Francesco Caltagirone. Affacciandomi dal terrazzo, durante le pause caffè, potevo mirare i lavori attorno al centro commerciale, ancora in corso, e spingere lo sguardo fino a Lunghezza, al suo castello medievale che ospitava, e ospita tuttora, il parco tematico de “Il Fantastico mondo del fantastico”, di cui ricordavo la pubblicità su Teleroma 56 e Super3.
Di cantieri ce n’erano, ma non davano l’idea di quel che poi il quartiere sarebbe divenuto oggi, un agglomerato catastale ipertrofico. Dove ti giri vedi costruzioni, su alcune traverse l’addensamento ricorda da lontano quello della speculazione edilizia di mezzo secolo fa. Ti fa pensare perché immagini che, oltre a quelli che non potevano permettersi altro, a Ponte di Nona ci sono finite pure giovani coppie fuggite da certi scenari capitolini più interni e deprimenti. Ci sono troppe case rispetto al necessario, è evidente. Alle palazzine color sabbia se ne sono aggiunte molte altre, bianche, marroncine, con i pannelli solari per l’acqua calda schierati sul tetto. Tutto il quadrante è stato ridisegnato: via Ponte di Nona, che collegava la Prenestina e la Collatina, ora viene bypassata attraverso una delle tante rotatorie e chiusa al traffico, il suo antico compito viene assolto da via Luigi Gastinelli e da altre strade limitrofe, mentre via Giorgio Grappelli è la nuova arteria ad alto scorrimento, che ha l’arduo compito di cucire i lembi del quartiere, costeggiare il centro commerciale Roma Est e condurre verso lo snodo autostradale della A24, quello famigerato dove i residenti sono comunque tenuti a pagare 1,30 euro di pedaggio.
Il cuore di Ponte di Nona si è spostato attorno a via Raoul Chiodelli, una lunga strada a carreggiate separate che racchiude la maggior parte degli esercizi commerciali, tra cui un supermercato discount, la biblioteca comunale, ricavata da uno storico casale rosso e gestita da ex-detenuti, lo snodo che conduce al Colle degli Abeti, dove ci sono i nuovi villini, e i vari ingressi del Parco Leonardo Sinisgalli. Sviluppato in senso longitudinale e parallelo a Chiodelli, il parco denota l’incuria comune a quasi tutte le aree verdi romane, una folta vegetazione e passeggiate rese possibili da una serie di griglie salvaprato che sembrano più adatte a qualche patito del giardinaggio fai-da-te che a un parco aperto al pubblico.
Sono tornato a Ponte di Nona aspettandomi il peggio, invece la flebile speranza di trovare dei cambiamenti migliorativi è cresciuta di passo in passo. Si notano le tracce di una comunità che ormai va nella direzione tracciata dal lodevole lavoro del comitato di quartiere che da sempre si batte per esso. La gente vive Ponte di Nona, il ruolo del centro commerciale è importante ma non così centrale come in altri posti della Roma di Fuori. Il carattere a vocazione popolare è coerente con le quotazioni degli immobili, lo spirito non è quello di essere la nuova Tor Bella Monaca, bensì la nuova Garbatella. Questo è un quartiere che si farà, dove la desolazione è solo una componente minoritaria, dove l’invenduto diviene occupato, certo, ma dove i parcheggi non sono sempre desolati.
Alla fine il primo problema di Ponte di Nona è che, nonostante i tanti chilometri che si percorrono dopo l’uscita dal raccordo, qui si legge ancora la famosa scritta “Comune di Roma”. Si tratta di un’affiliazione che crea più problemi che altro. Innanzitutto quella subdola sudditanza dal Centro, accreditata anche da quelli del Comitato di Quartiere, i quali sul sito precisano che
Nelle ore di punta mattutine, si può raggiungere San Giovanni in 30 minuti di automobile.
Perché questa informazione deve essere così rilevante, oltre che molto discutibile? Una persona che necessita o desidera di andare spesso a San Giovanni non dovrebbe proprio comprare una casa a Ponte di Nona, oppure mettersi l’anima in pace, come chi abita a Firenze e voglia recarsi abitualmente a Bologna.
Se Ponte di Nona non fosse Roma, ma un comune a sé, probabilmente molte cose andrebbero meglio. Meno tasse pagate a chi sovente si dimentica di te per servizi di cui usufruiscono, quando va bene, solo quelli che abitano dentro il GRA, meno connivenza di criminalità, con esodi di interi clan in cerca di visibilità nei giochi di potere, meno case occupate abusivamente per rimostranze contro il Comune che non assegna gli appartamenti a chi ne ha diritto.
Se Ponte di Nona non fosse Roma, la Roma di Fuori, probabilmente non farebbe questa grande fatica a scrollarsi di dosso l’Esempio, e a diventare un quartiere normale.
(foto di Francesca Minonne)
Bel servizio…vivo dal 2013 a ponte di nona e a me piace …mi piace vedere ancora parte della campagna romana….l aria popolare…di gente che si dà da fare che si aiuta….hai ragione se nin fosse Roma sarebbe cresciuta di più in servizi ….ma tempo al tempo…
Io abitato vicino, a Borghesiana. Passo per Ponte di Nonna da quando c’è il centro commerciale, e la considero un’area desolata dove il brl paesaggio della campagna Romana è stato fatto ricoprire di cemento. Ho lavorato in diversi centri commerciali di Roma a contatto con la gente, ed ho notato come cambia la gente a seconda del centro commerciale e quindi della zona. A Roma est trovavo la gente piu “semplice” di Roma. Io ritengo che la vera Roma sia la periferia. L’interno del GRA è per i fuori sede che se lo possono permettere. Tuttavia non riesco ad immaginare dei comuni “Ponte di Nona” o “Borghesiana” a sé. Nemmeno li sento a far parte dei Castelli che sono ancora altro. Noi gente di periferia siamo romani…
Borghesiana? Io non quartiere abusivo? Ma per piacere… Meglio Nuova Ponte di Nona (non Nonna) tutta la vita.