Un’educazione milanese

“Cerco ponti in cui lo spaesamento e il sentirmi a casa coincidano. E su quei ponti finiscono con l’apparire, tenere e meridiane, le figure che mi riconducono là dove io sono cominciato e dove è cominciata per me questa città»

Quale miglior definizione di Milano di questo estratto da “Un’educazione milanese”, il primo libro di Alberto Rollo, direttore editoriale di lungo corso, pubblicato dalla salentina Manni? Un ponte per l’Europa, un ponte per il futuro, ma anche un luogo di vita e formazione, soprattutto per quelli della generazione dell’autore, che hanno vissuto appieno la trasformazione da città operaia a metropoli moderna, frenetica e accattivante.

Per chi, come me, non ha mai vissuto a Milano, è difficile resistere alla curiosità e sottrarsi alla narrazione di Rollo, un memoir di formazione sparpagliato nel ventennio 1959-1979, troppo denso di avvenimenti culturali e politici per non incidere nella crescita e nelle svolte personali dell’autore. Figlio di una famiglia proletaria di origini leccesi, in un’epoca in cui l’identità di classe era ancora molto forte, Rollo impernia il libro su tre fondamenta molto solide: il racconto (anche architetturale) della città, il suo rapporto con il padre e l’epopea rivoluzionaria tra il 1967 e il 1975, sintetizzata nell’amicizia con Marco.

Non esiste una, ma mille Milano. Sul finire degli Anni Cinquanta è ancora una città fortemente operaia, il cui territorio è segnato dalla linea ferroviaria, dal ferro delle fabbriche. L’eroe di Alberto è il padre metalmeccanico, lavoratore rigoroso che getta i semi di un’educazione improntata alla moralità. Un operaio lo è per sempre, segnato nell’ideologia seppur raramente espressa in maniera esplicita. Non c’è nessun rapporto con la borghesia. Essere un impiegato, come il cognato, è già considerato un tradimento.

E tradito un po’ si sentirà, il padre, quando Alberto inizierà a frequentare certi ambienti post-sessantottini, all’Università e non solo, in un contesto pronto a rimettere tutto in discussione, dove la commistione di classe tra figli di operai, borghesi e ricchi imprenditori è la norma. E’ una Milano che ribolle cambiamento, che almeno in parte rinnegherà, che sprizza impegno politico e violenza sociale da ogni vicolo. E’ una fase che segna, per Alberto, il distacco dal mondo operaio paterno e l’abbraccio con l’ambito culturale che sarà il pane della sua vita, comunque segnata dalla sua educazione milanese.

Come ogni bravo narratore, come i tanti che ha contribuito a lanciare nel corso degli anni, Alberto Rollo è abile nel mescolare la storia della sua città con quella della sua generazione, non indugiando troppo nell’autoreferenzialità compiaciuta (colpa che ascrivo ad esempio a La scuola cattolica di Albinati), non perdendosi in narrazioni trite e ritrite, come la “Milano da bere”, ma mantenendo quel genuino mix tra estro e rigore che rendono questa sua opera un vero e proprio ponte tra la vera Milano e chi non la conosce.

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