Il signor Rossi

I vigili urbani sono sempre più rari agli incroci della Capitale, sporadici come i piccioni cacciati via dai gabbiani migrati dal litorale romano perché ammaliati dall’olezzo delle strade, dove gli spazzini latitano solidali con tutti i colleghi comunali. La grande discontinuità è tutta lì: una città con la manutenzione di chi è stato dimenticato da tempo, e nugoli di persone dappertutto. Il viavai sui marciapiedi non lascia tracce nella memoria, chiunque potrebbe essere qualcuno, tutti ci lasciano indifferenti in equal misura.

Ai crocevia riconosci soltanto gli agenti immobiliari, irriducibili nonostante la crisi del mattone, in giacca cravatta e cartellina di pelle d’ordinanza. Un agente immobiliare fissa quasi sempre l’appuntamento ad un incrocio, perché sono punti di maggior visibilità, e Dio solo sa quanto essi ne abbiano bisogno.

Anche se tutti sanno percepire l’essenza di un agente immobiliare, i gesti, i modi, nessuno li osserva in volto, nessuno li rammenta anche dopo pochi minuti che la visita è terminata. Figuriamoci ricordarne il nome, stampato sugli infiniti biglietti da visita in cartoncino che vengono estratti come munizioni dalla tasca interna della giacca, simbolo di un “aggancio” verso il potenziale cliente che nella maggioranza dei casi è vero solo su carta, appunto. Quasi tutti, voltando l’angolo, gettano brochure e biglietto. Nei rari casi in cui interessi l’appartamento, l’agente immobiliare è visto come un intralcio, un’inutile spesa in più, uno che non cura mai degli interessi che non siano i propri, ovvero intascarsi una ricca commissione facendo da chauffeur in giro per la città. Chiunque potrebbe essere un agente immobiliare, nessuno lo è veramente, come se la professione non fosse sostenuta da una reale vocazione di fondo, soltanto da un’esigenza temporanea che sovviene nel momento in cui tutti ci sentiamo come un moderno e incompreso Vitaliano Moscarda. Non è mai sorprendente incontrare un agente immobiliare, nemmeno in posti come Piazza Ricoldo da Montecroce, nel cuore della Garbatella, dove tutti gli edifici hanno vissuto la Guerra, i romani appartengono alla loro città da qualche generazione in più e la gente si saluta per nome, dandosi pacche sulle spalle.

Il nostro agente immobiliare è fermo di fronte all’ingresso di quelle che una volta erano case popolari, due colonne d’ocra sbiadita segnano la distanza di un cancello pedonale invisibile, perché assente. Egli ha un compito ingrato, che contribuisce a renderlo orgoglioso di se stesso, e costituisce un appiglio motivazionale a cui si aggrappa per distinguersi dal resto dei colleghi, come se fosse il primo a capire sul serio la complessiva inutilità del suo mestiere. Non è un normale agente immobiliare, il Nostro, e lo specifica ad ogni incontro con amici di lunga data che non vede da un po’ e a cui racconta cosa fa per vivere, ovvero cosa la vita gli ha fatto. Lui si occupa di case in dismissione, appartamenti di proprietà di un ente che ha deciso di metterli in vendita, peccato che siano ancora occupati, e chi ci vive dentro non vuole ma più spesso non è in grado di acquistarli, e non ha alcuna intenzione di sloggiare. Gli enti si rivolgono quindi al tribunale, ma nel frattempo qualcuno deve pubblicizzare la vendita di un appartamento che nessuno può visitare. Ecco la mansione gravosa, ecco il motivo d’orgoglio del Nostro. Occorre discrezione e tatto, le visite si limitano a una passeggiata nel cortile condominiale, tra le occhiate sospette degli altri inquilini, di solito tutti nella stessa condizione di ospiti indesiderati, e per quanto uno possa essere accorto, sappiamo già che un agente immobiliare lo riconosci dappertutto, dall’abbigliamento e dai gesti affettati. L’agente conclude la visita indicando il piano e le finestre di competenza, mai si avventura per le scale interne, con il rischio d’incontrare gli occupanti che, seppur abusivi, lo farebbero comunque sentire in colpa e imbarazzo. Pensandoci bene, al Nostro non è mai capitato d’imbattersi in una di quelle persone a cui, con il suo lavoro, sta contribuendo a portare via l’appartamento. Sarà stato molto cauto e fortunato, poi si tratta di gente che per ovvi motivi non abbandona mai la casa incustodita, anche quando va a fare la spesa o in giro per qualche commissione lascia sempre un amico o un parente chiuso dentro l’immobile.

Il Nostro non ha mai incontrato neanche il signor Rossi, colui che abita nell’appartamento che l’agenzia per cui lavora sta pubblicizzando. Soltanto una volta, ne è certo, gli è parso di scorgere una figura nei pressi di una delle finestre dell’appartamento, che proprio in quel momento stava indicando ai visitatori di turno. Nulla di più, d’altronde egli non conosce il suo aspetto, il signor Rossi è soltanto il signor Rossi, un nome stampato sopra un decreto ingiuntivo di sfratto e infilato a forza nella targhetta del citofono, scritto a penna per confermare una transitorietà tradita dai fatti, dato che abita lì da almeno trent’anni. L’agente immobiliare non ne conosce la storia, i motivi per cui non ha sfruttato il prezzo agevolato di vendita concesso dall’ente, il Nostro svolge la sua mansione come gli hanno indicato, discrezione e tatto, mostrare la planimetria dell’immobile, decantarne le qualità senza averlo mai visto, senza sapere le reali condizioni in cui versa, dato che non ci entra nessuno da anni, se non il signor Rossi e i suoi, chiunque essi siano. Al nostro agente questo lato misterioso del mestiere piace, può millantare come vuole senza apparire millantatore, non come i colleghi costretti a minimizzare su difetti gravissimi e ben visibili, presenti in immobili venduti a prezzo pieno di mercato. Chi è interessato negli appartamenti in dismissione degli enti è ben più conscio di quel a cui va incontro e ne accetta il rischio, calcolato nel prezzo sensibilmente ribassato.

Eppure capita che i visitatori diano buca, come quel pomeriggio. Il Nostro ha atteso il quarto d’ora accademico, non aveva ulteriori appuntamenti, poi ha iniziato a telefonare al numero di contatto che gli avevano lasciato, senza ottenere risposta se non lo squillo regolare e tipico di quando la linea è libera. Qualcuno che ci avrà ripensato, qualcuno che non vuole più assumersi il rischio, oppure qualcuno che semplicemente reputa inutile una visita che non è niente di più di una passeggiata in un quartiere per cui non ha bisogno di quell’aggregatore d’imbarazzo chiamato agente immobiliare, con il solo potere di renderlo immediatamente inviso al vicinato.

Che fare ora, se non andarsene via? Ma il nostro agente è ligio al dovere, o soltanto molto sfaccendato, e inizia a percorrere il viale del cortile condominiale come se non fosse solo. Qualche passo in più non potrà incidere troppo sulle suole già consunte delle sue scarpe nere e solo in apparenza eleganti. Si arresta nel punto in cui un sentiero lastricato di mattonelle perlopiù spezzate converge verso la palazzina del signor Rossi, la penultima sul lato sinistro. Volge lo sguardo verso il secondo piano, non il più nobile ma neanche il meno pregiato, le persiane sono aperte ma dalle finestre non traspare nulla, né luci né presenze, nulla che non possa essere ricondotto ad una casa abitata nella prossimità del crepuscolo, quando tutti rientrano a riallacciare i fili della propria vita privata dopo esser stati divorati da quella pubblica.

Le gambe del nostro eroe, l’agente immobiliare, sono appesantite da una decina abbondante di appuntamenti, ma lui non vuole tornare in quel posto che è costretto dalle circostanze a chiamare casa. Proprio come il calzolaio dalle scarpe bucate, il nostro amico non è riuscito a far di meglio che affittare un anonimo seminterrato in zona Cinecittà, l’unico compromesso per non dividere l’appartamento con qualche altro sconosciuto fuorisede. E’ lontano dalle proprie origini, ma non è in grado di dire se gli manchino perché non si trova bene a Roma, o se non gliene importi nulla per non ammettere di aver fallito. Oscilla continuamente tra le due posizioni che esasperano un nulla di fatto comodo per rinviare la resa dei conti a tempo indeterminato.

Si avvicina all’edificio, scorgendo da lontano il portone in legno dipinto di un verde che ritrovi sui vecchi banchi di scuola. E’ totalmente aperto. Nessuno gli ostacola il cammino, né con il corpo, né con una di quelle occhiate che di solito gli riservano e che egli ha imparato, a fatica, a ignorare. Per la prima volta il nostro amico, l’agente immobiliare, osa avvicinarsi, addirittura accenna ad entrare con i muscoli tesi e pronti a farlo rimbalzare fuori al primo segnale di pericolo. Il suo viso, ancor prima che la giacca e la cravatta, è un campanello di allarme automatico agli occhi degli inquilini del palazzo. Non abita lì, non è della Garbatella, non è di Roma, è uno straniero a tutti gli effetti, e ne rispetta il ruolo muovendosi con circospezione mentre sale la rampa di scale a pianta quadrata, inevitabile quanto l’assenza dell’ascensore. Le scrostature del muro penzolano in punti differenti, e formano delle specie di liane che rischiano di cadere da un momento all’altro sulle spalle dei passanti, ma forse sono lì da sempre, e non cederanno mai. Non incontra nessuno, il Nostro, non c’è anima viva nei paraggi, anche alzando il capo fino alla massima estensione possibile, fino alla sommità dell’edificio. Non vede nessuno, avanza cauto ma imperterrito sino al pianerottolo dove vive il signor Rossi, e lì trova una strana faccenda.

La porta non è chiusa, è appena accostata, e da dentro penetra un filo di luce, non aggressivo ma invitante. Vorrebbe bussare, il Nostro, per non abusare dell’impensabile idillio di cui si sta approfittando, ma ha paura di rovinare tutto, entrando in una casa occupata senza alcuna autorizzazione. All’agenzia non sarebbero contenti di lui, sta portando una marea di guai potenziali con questo gesto che potrebbe costargli il posto di lavoro, pagato male, poco gratificante, ma l’unico che possiede. Eppure la situazione è troppo allettante, si tratta di capire, finalmente, una vita dentro a un immobile, oltre le porte e le finestre. E’ la volta buona per andare oltre le anonime carte, per dare un volto e un corpo a una scelta comunque estrema. Non gli interessa sapere cosa farà, o che succederà. Un altro passo ed è dentro.

La foto in copertina è di Francesca Minonne

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