L’amica di mia figlia

Piero era nato e cresciuto a Montespaccato, ma non aveva mai particolarmente legato con i coetanei del luogo. Anche adesso che aveva valicato il mezzo secolo di vita, passando per quel bar su via Cornelia, dalle parti di Boccea, incrociava molti ex-compagni di giochi e di scuola, ma non si andava mai oltre un mezzo cenno con la bocca. Nessuno sembrava avergli perdonato di aver avuto successo nella vita, e di non essersene andato da lì.

Piero era un maestro di golf, un professionista che girava i circoli più “in” della Capitale, insegnando la tecnica a chi poteva permetterselo. Guadagnava piuttosto bene, ma per amore della sua famiglia non s’era spostato in quartieri meno popolari. Avevano cambiato casa, questo sì, avendo acquistato un attico terrazzato da dove si arrivava a vedere a San Pietro. Era come se fossero sempre in contatto con il cuore di Roma, pur vivendo in una periferia assai prossima al GRA. La Basilica, poi, gli ricordava di quando aveva conosciuto Gloria, nei primi anni Ottanta. La madre di lei gestiva un’edicola nei pressi di porta Cavalleggeri, e tutte le volte che Piero passava con il motociclo, non poteva che fermarsi a rimirare la figlia che le faceva qualche commissione. Un giorno aveva preso il coraggio a due mani e aveva chiesto alla madre il permesso di telefonare a casa, e da lì era nata la loro storia d’amore e il matrimonio.

Piero aveva accettato volentieri di fermarsi a Montespaccato, anche perché lui il quartiere non lo viveva affatto. Neanche di domenica. La vita di un professionista del golf è anzi ancor più intensa nei weekend, tra tornei, circoli, lezioni ai lavoratori che si rilassano nel fine settimana. Non c’era mai, accentuando forse il distacco dalla comunità.

Quel distacco cessò quando Gloria morì. Oltre al dolore, era ora costretto a occuparsi della casa e di sua figlia Laura, che aveva passato i vent’anni e frequentava l’università. Piero allentò il ritmo, lasciandosi le lezioni del fine settimana e diradando molto gli impegni nei giorni feriali. L’abbraccio con Montespaccato si serrò. I primi due anni frequentò la parrocchia di zona, si diede da fare con il volontariato. Si trattava di un’attività che gli faceva bene al cuore, e che non gli richiedeva di mettere in ballo le sue ferite. Si occupava del bene altrui, e indirettamente ne faceva anche a se stesso.

Dopo il volontariato, tornò a frequentare dei punti di ritrovo più canonici, come il bar all’angolo, quello dove la moglie veniva spesso con le amiche a farsi un caffè, quello dove Laura scendeva per prendere il latte fresco, quello dove per i vecchi che giocavano a carte lui era sempre il “fortunello” che aveva fatto i soldi. Anche adesso, che era vedovo mentre loro, tutti più anziani di lui, avevano ancora la moglie.

“Piero, prendi il solito?”

Maria, la barista, tradiva le origini balcaniche, nei lineamenti così come nei modi di fare spicci e diretti. Era arrivata dalla Romania da ragazzina, e parlava un italiano pressoché perfetto. Era un peccato che non avesse proseguito negli studi, dopo i problemi di inserimento aveva iniziato ad avere un ottimo profitto. Piero se lo ricordava perché era in classe con Laura, alle medie. Erano rimaste amiche, e spesso uscivano il sabato sera per locali.

“Certo…caffè macchiato freddo, al vetro.”

“Oggi non vai al campo?”

“Più tardi…ho lezione nel pomeriggio.”

“Sai, mi piacerebbe imparare il golf. I campi sono così belli…si fa una passeggiata, e ci si rilassa!” Maria guardava in alto, sognante, mentre la macchina del caffè faceva il suo dovere, dietro al bancone. Era diventata una bella ragazza, i capelli bruni e fluenti fino alle spalle, il fisico formoso nei punti giusti, gli occhi espressivi e la bocca sensuale.

“Quando vuoi, t’insegno io. Gratis, s’intende.” Maria sorrise, portando le mani ai fianchi.

“Dai, sei troppo gentile! Poi ci mettiamo d’accordo.” Piero ricambiò il cenno d’intesa, bevendo il caffè in un sorso, senza zucchero. Stavano flirtando? Il dubbio l’aveva, perché erano trent’anni che non praticava. Si sentiva adosso lo sguardo degli altri clienti, più del solito. C’erano Leonardo e Marcello che parlottavano, seduti ad un tavolino. L’avevano sempre preso in giro, quando aveva iniziato a giocare a golf ai tempi delle medie. Lo scherno si era trasformato in invidia, quando lui aveva cominciato a girare in Italia e in Europa per tornei, mentre per loro non c’era stata altra scelta che lavorare come manovali nei cantieri tra Giustiniana e Tomba di Nerone.

“Glielo insegnerei io il golf, a quella…” Leonardo aveva alzato il tiro, oltre che la voce.

“Come, prego?” Piero si era voltato, e lo fissava negli occhi.

“L’ho capito io, perché ti sei scelto quel mestiere…” Cercavano la litigata, e Piero era anche pronto a dargliela.

“Lasciali perdere, non mischiarti con loro. Ci sono abituata, le rumene vengono considerate facili.” Gli aveva messo la mano sul braccio, e Piero aveva sentito come una scossa. Era tanto che non provava sensazioni del genere.

“Sabato esci con Maria?” A cena, Piero aveva interrotto i lunghi monologhi universitari di Laura. Era assai orgoglioso di lei, e dello scrupolo con il quale perseguiva i suoi obiettivi. Era tutta sua madre.

“Penso di sì, perché?”

“No, niente…dove andate di solito?”

“Lo sai già…in qualche pub, discoteca…”

“Andate con i vostri ragazzi?” Domanda strategica. Laura sbuffò, scocciata.

“Che ti è preso stasera? Lo sai che non ce l’ho il ragazzo…e neanche Maria, in questo momento.” Aveva capito qualcosa? Chissà come l’avrebbe presa…

Dopo cena, Piero passò davanti allo specchio lungo che tenevano in corridoio. Lo sport lo aiutava, era ancora asciutto in perfetta forma. Quanto alla testa calva, andava di moda anche tra i ragazzi, non ci si faceva molto caso. La differenza d’età, però, si vedeva tutta, ed esplodeva in maniera palese quando erano uno di fronte all’altra. Poteva essere sua figlia, altroché…eppure era attratto come un ragazzino. Ogni scusa era buona per passare davanti al bar, allo stesso modo in cui ogni scusa era stata sufficiente per allungare il tragitto verso San Pietro, per vedere Gloria. Maria non era Gloria, e soprattutto lui non era più il ragazzetto che sfrecciava tra Centro e Roma Nord.

“Papà, credo sia giusto che tu reinizi a farti una vita. Immagino che con il tuo lavoro sia possibile conoscere qualche signora, no?” Spontanea e tempista, come sempre. Ma quel termine “signora” era fin troppo esplicito, dal punto di vista anagrafico. Il padre preferì non rispondere.

Quel sabato sera, affacciandosi dal terrazzo, Piero vide Laura uscire dal cancello e salutarsi con Maria, che l’attendeva fuori dalla sua utilitaria usata. Entrambe truccate e accessoriate, da lontano sembravano assai più donne che ragazze. Maria lo vide e lo salutò con il braccio, l’uomo ricambiò con la mano.

La settimana successiva, Maria avrebbe iniziato le lezioni di golf.

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